Come forse ogni appassionato velista mediterraneo, ho nell’immaginazione e nel cuore la voglia di attraversare l’oceano. Direi che sin dai libri di Salgari la mente e le emozioni hanno vagato in qualche parte sconosciuta del mare, raggiungendo una qualche isola poco abitata, se non da indigeni o pirati. Da grande, poi, marinai affascinanti, solitari e coraggiosi hanno alimentato la mia tentazione e la mia curiosità di confrontarmi con loro.
Io, testardo appassionato velista disabile, con il sedere per anni su un Flying Junior con la coperta rossa e lo scafo bianco nella baia di Anzio, ed ora armatore di uno sloop di 38 piedi, che spesso naviga nel Mediterraneo, come potrei affrontare l’oceano?
Capirete allora che la notizia che Giancarlo Pedote, navigatore solitario, con in tasca vari e recentissimi risultati eccellenti in Atlantico e nel mondo, sarebbe venuto a Roma a presentare il suo libro mi ha fatto venire la voglia di incontrarlo.
Quel pomeriggio vado alla libreria dove avrebbe presentato il suo ultimo libro. Tanta gente in quella viuzza del centro, cercando di evitare di accalcarsi e con l’urgente necessità di ascoltare le sue parole. Giancarlo Pedote racconta le sue emozioni e le sue motivazioni, parla della preparazione fisica e mentale, delle cose che sono andate storte e dei momenti di tensione e quasi disperazione. Parla del mangiare e di quella volta che si trovò, per una situazione critica, poi risolta, a sfogarsi in un pianto. Un pianto che per lui fu liberatorio – no, di più, consolatorio – e che gli ha consentito di accettarsi e di andare avanti, ed io immagino con una sempre maggiore consapevolezza.
Io forse non sono come lui, seppur il desiderio di mare, avventura e sfida potrebbe essere assimilabile. Mi viene il pensiero che un Imoca 60’ è una costruzione estrema, nessun comfort, sballottato sulle onde a velocità incredibili, che impone la necessità di reggersi con mani e piedi a qualsiasi appiglio disponibile, sempre. Sia in coperta, sia in pozzetto, sia sotto coperta si è quasi sempre al limite. Eppure dentro di me sento questa calma vibrante, la voglia e probabilmente la capacità di sognare, progettare, costruire e coinvolgere, immaginando un giorno di trovarmi proprio lì, molto probabilmente non da solo e libero di dire: “ce l’ho fatta”.
Poi penso che il prossimo fine settimana sarò con il mio “Pancho II” al Porto di Roma, con amici con cui condividerò meravigliose emozioni. Vedrò la mia barca, consapevole del percorso fatto, delle sfide superate, dei numerosi viaggi in posti meravigliosi, delle avventure con vento forza 6 e mare formato, delle tranquille notti in rada, della voglia felice di condividere il mare. E allora di nuovo saprò che ce la faccio e che forse quel barlume di pazzia che è l’oceano, il mio oceano, sta davvero ad un passo da me.
© immagine in evidenza cortesia di Giancarlo Pedote